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L'UOMO DEL MISTERO

 

 

Una penombra satura di mistero gravava sulla vasta sala. Dalle persiane socchiuse filtravano luci sottili che assomigliavano a lame d'acciaio al color bianco. Un pulviscolo dorato ballava sulle lame provenendo dall’oscurità soffusa di nostalgie.

     Sulle pareti della stanza, facevano conturbante mostra di sé file di cimeli africani: scudi sormontati al centro da una punta conica, lance e archi, pugnali e zagaglie, insieme ad ogni sorta di suppellettili d’origine abissina. Sembravano corpi senz’anima perché le loro anime erano rimaste avvinghiate alla loro terra lontana.

     Quando Enrico, l'ingegnere che alloggiava al piano di sotto, entrò in quella sala, ebbe la sensazione d’essere entrato in un luogo tombale, ove emozioni e ricordi d'un tempo passato erano sepolti con i loro silenzi, unico omaggio possibile al richiamo dei tramonti infuocati di un’Africa perduta, acclamati dai gridi degli uccelli nell'ultimo volo prima della notte. Una notte che in quella sala non era più diventata giorno!

     - S'accomodi ingegnere, mia madre gradirà la Sua visita-

     La persona che aveva rivolto l'invito all'ingegnere del piano sottostante era un signore di mezza età, forse sui quaranta, ancora visibilmente giovanile, con una corporatura forte, un volto ramato che tradiva un’abbronzatura stabilizzata.

     - Grazie, ingegnere – anch'egli era ingegnere – gli fece eco Enrico, inoltrandosi nella sala cui s’era affacciato.

     Sul lato opposto alla porta, accanto alla finestra dalle lame di luce, nell'angolo della penombra più intensa, su di una poltrona di velluto verde, sedeva un'anziana signora, dai lineamenti ancora perfetti che denunciavano un'antica bellezza.

     Alzando il suo volto opaco, ma dagli occhi percorsi da luminescenze strane, porse la mano all'ospite. Enrico la strinse, e il contatto era caldo e accattivante. Gli piacque il contatto della mano della Signora anziana dai lineamenti che tradivano la sua bellezza antica. Percepì sulla sua pelle un’impronta di terra lontana, fatta d’ardori rivissuti nei ricordi col magico tocco della  nostalgia.

     - Piacere di fare la Sua conoscenza, Signora. Suo figlio ha voluto presentarmi a Lei ed io ne sono lieto -

     Ritirando la mano dalla stretta, la Signora indicò la poltrona accanto a lei.

     - Forse si sorprenderà per i nostri cimeli africani - disse accompagnando la frase con un vago gesto del braccio rivolto alle pareti della sala, leggendo negli occhi la curiosità dell’ospite.

     - So che siete reduci dall'Africa -.

     - Reduci ... non è propriamente la parola giusta - mormorò rincorrendo i suoi ricordi.

     - Volevo dire ... -

     - Lo so, lo so ... -

     Poi, d'un tratto, con un tono di voce che spezzava repentinamente ogni riferimento al passato, per entrare in una sorta d’allucinante presente, soggiunse:

     - La cara Principessa Abukil ricambia ogni volta il dono di un mio vecchio vestito con una lancia o uno scudo della Guardia dell'Imperatore -

     - Del Negus? - azzardò l’ingegner Enrico, con aria che tradiva un certo sgomento.

     - Sì! ... del Re dei Re, il nostro amato Negus Neghesti -

     Enrico sentì un brivido percorrergli la schiena. L'uso di quel presente verbale l'aveva agghiacciato. Per fugare ogni traccia d’un comportamento imbarazzato, ebbe l’accortezza di rispondere:

     - Credevo che foste tornati in Patria dopo la perdita del-l’Africa  Orientale -

     - Nient’affatto -  proseguì la Signora - rimanemmo in Abissinia sotto la protezione del Negus. Tornammo più tardi, quando Alfredo dovette assumere un lavoro in Italia -

     - Non foste allora cacciati? -

     - Assolutamente no! ... eravamo molto intimi della famiglia imperiale ... -

     Lo sguardo di Enrico non cessava di posarsi sulle pareti dei ricordi. In quell'istintivo vagare da un capo all’altro del muro scopriva sempre nuovi particolari. Non c'erano solo armi, ma  suppellettili d’ogni tipo che ora metteva a fuoco una per una con pensierosa diligenza: statuette di ebano, sculture di avorio e anche arredi sacri di rito copto. Si soffermò con l’occhio su di un incensiere d'argento cesellato con disegni abissini. Aveva quattro anelli in prossimità del bordo superiore, ma soltanto in uno era agganciata una catenella, pure d’argento, che s’infilava in un’asola del coperchio. Le altre tre catenelle avevano perduto il loro gancio e pendevano isolate.

     Non v'era un ordine stabilito nella sequenza degli oggetti appesi, ma ogni reperto, se così possiamo chiamarlo, era intercalato agli altri senza un’apparente logica.

     - Una bella collezione - azzardò ad un tratto Enrico, pur sapendo che avrebbe potuto suscitare dolorose emozioni nel-l'animo della Signora.

- Oh,  non è tutto qui, ingegnere. La maggior parte delle suppellettili abissine è rimasta in Africa nel mio appartamento chiuso. Un giorno anche questa collezione ritornerà laggiù ... essa mi seguirà ... la mia nostalgia dell’Africa è troppo forte!

     - Lei sà cos’è il mal d’Africa - interloquì l’altro ingegnere - mia madre ne è affetta in modo speciale -

     Non poteva non essersene accorto; i discorsi della Signora vertevano tutti sulla sua permanenza in quel mondo pieno di ricordi. Sottili sensazioni d’irrealtà s’affacciavano alla coscienza di Enrico con tanta maggiore insistenza quanto più la Signora dava l’impressione di rivivere in una  realtà di fatto le sue esperienze africane. Quando giunse il momento del commiato, Enrico emise d’istinto un respiro di sollievo. 

     - E’ stato molto bello conoscerla, Signora, e interessante ammirare i segni tangibili dei suoi ricordi ... essi hanno potuto darLe in questi anni il senso di un distacco non definitivo dal mondo che ama ... - 

     Così si espresse mentre accomiatandosi stringeva di nuovo la mano della bellissima Signora di un tempo passato.

     Uscendo da quell’appartamento, mentre ne rivarcava la soglia, scambiò ancora qualche parola col figlio della “Figlia della nostalgia”, che la Signora nel corso della conversazione aveva chiamato Alfredo... Ma era veramente suo figlio? Questa domanda, che s’era affacciata d’un tratto alla sua mente senza un motivo apparente, gli fece per un attimo percepire di nuovo l’atmosfera irreale di quella casa.

     - Bene, spero che ci rivedremo ancora, ingegner Alfredo - disse stringendogli la mano - la conversazione con Sua madre è stata molto interessante ... arrivederci, dunque! -

     - Arrivederci! – gli fece eco l’ingegner Alfredo sottolineando col saluto il desiderio di un rapporto da coltivare.

 

 

*      *      *

 

     Il saluto di “Arrivederci” fu di buon auspicio. Enrico ed Alfredo si rividero presto. Era trascorsa una settimana o poco più dal giorno della visita alla Signora che regalava i vestiti smessi alla “cara” Principessa Abukil, quando Enrico pensò di andarsi a trascorrere una domenica al mare. Il sole splendente della calda estate, la giornata tersa e la dolce brezza marina  invitava alle riposanti distrazioni avulse dai problemi di lavoro. Le consegne degli apparati per le navi nei Cantieri erano imminenti e come il solito ritardatarie. Non fa nulla, si faranno gli straordinari, oggi è giornata di riposo.

     Il riposo era tutto lì, ai bordi della piscina del Lido d’Albaro. ove Enrico si trovava pronto al refrigerio del tuffo.

      Stava per mostrare a qualche astante (preferibilmente di sesso femminile) il suo inconfondibile stile, quando … Ohibò!…sul bordo opposto della piscina vide la sagoma bronzea dell’ingegner Alfredo, il figlio dell’Africa nostalgica.                                        

     Gli corse incontro.

     - Buongiorno, ingegnere! - gli rivolse un saluto acceso - come vede, ci siamo rincontrati presto ... sotto un sole ardente, ma non africano ... -

      Alfredo accolse il saluto con un sorriso compiacente, mentre protendeva la mano per afferrare quella che il suo collega gli porgeva.

     - Viene spesso al Lido d'Albaro? - cercò d’iniziare la conversazione Enrico.

     - Quando i miei impegni di lavoro me lo consentono -

     - Questa è una domenica senza impegni di lavoro -

     Diceva così, perché per esperienza sapeva che il lavoro in fabbrica a volta richiedeva degli straordinari, specie quando si doveva andare a montare gli apparati fuori sede; allora le domeniche saltavano, per l’endemico malvezzo delle Aziende di effettuare le consegne con l’acqua alla gola. Ma quella, evidentemente, era una domenica senza consegne, che si poteva godere in tutta tranquillità, magari rincorrendo qualche avventura ... dato che in quel preciso istante due splendide ragazze passavano accanto ai due ingegneri, con disinvolti ancheggiamenti ...

     - Le tenga d’occhio, ingegnere, mentre io mi tuffo, se non vuole seguirmi…ho un impellente bisogno di rinfrescarmi le idee…-   

     Lo spruzzo sollevato dal tuffo investì l’Alfredo, ma Enrico non n’ebbe percezione, ché già era in fondo alla piscina con una scivolata in immersione coadiuvata da due potenti bracciate. Era lo stile che soleva mettere in mostra, e che suscitava sguardi d’ammirazione da parte di fanciulle astanti.

     Nel riemergere, girò lo sguardo attorno. Cercava Alfredo e le astanti, ma per quante volte roteò la testa, di Alfredo e delle astanti non scorse traccia in giro.

     “Forse se n’è andato con le ragazze” a volte l’ovvietà fa aggio sulle complicazioni.

     S’arrampicò sul bordo, deciso a porsi alla ricerca dell’inge-gnere e delle “prede” da non perder d’occhio. Il pensiero appena rinfrescato dal tuffo, accolse il caldo soffio dell’avventura. I piedi s’erano appena posati sul metro quadro che aveva ospitato Alfredo, quando la vampa s’accrebbe sul suo viso trascinatavi dal vento di lontane lande infuocate. La misteriosa sensazione lo riportò col pensiero alle pareti ridondanti di cimeli africani, e un sottile fremito scosse il suo corpo bagnato!

     Rinunciò alla ricerca.

     L’indomani era giorno di lavoro. Alle 7,30 Enrico varcava puntuale il portone di casa dello stabile di Via Kassala, 40, ove abitava, per recarsi al lavoro. Ma nello stesso istante varcava il medesimo portone l’ingegnere del piano di sopra. Come tante altre mattine, Enrico ed Alfredo s’incontrarono sul portone dello stabile ove abitavano. Enrico aveva l’occasione, così presto realizzata, di sapere che fine aveva fatto Alfredo al lido d’Albaro con le due ragazze.

     - Preferisce le ragazze ... ai tuffi in piscina, Eh, ingegnere? ... non posso darLe torto! -    

     - Di quali ragazze parla, ingegnere?

- Quelle che…-

     Enrico non prosegui…forse l’Alfredo era ancora un po’ assonnato. Il Lunedì mattina è una giornataccia! Son cose che capitano…Però, la faccia dell’Alfredo non era soltanto assonnata era anche un po’, un po’…come dire?… quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi prima di andare a Genova…

     Caspita!...Ragazze come quelle incrociate alla piscina non possono mica scordarsi tanto facilmente…

     - E’ andato a fare il bagno in mare, invece di seguire le ragazze? -

     - Guardi, che io non capisco di cosa Lei sta parlando. Il bagno?..

     - Ma come?...non eravamo al Lido d’Albaro, ieri mattina? Non si ricorda che abbiamo conversato insieme?... Poi io mi sono tuffato in piscina, mentre le ragazze ci passavano accanto, ci hanno sfiorato…allora Le ho detto di tenerle d’occhio mentre io mi facevo un tuffo…

     - Apprezzo questa descrizione, purtroppo io non ne sono stato partecipe, per il semplice motivo che ieri mattina al Lido d’Albaro io non c’ero proprio! -

     Ma Perbacco! A che gioco stava giocando quel matto del-l’ingegnere del piano di sopra, figlio della Patita d’Africa?! ... Al pensiero della Patita d’Africa Enrico percepì un fremito nella schiena. I cimeli africani stavano perforando la sua mente col tocco della magia? Che avessero un influsso nocivo? Una sorta d’oscura preoccupazione fece breccia nel suo immaginario al pensiero che proprio al di sotto di quei cimeli ad una distanza di pochi metri, lui ci dormiva!          

     - Ah, al Lido d’Albaro, ieri, Lei dunque non c’era? -

     - No!  Guardi che ieri, pur essendo domenica, ho dovuto fare gli straordinari fuori Genova ... avevamo da consegnare un apparato alla Marina Militare, ed erano sorti dei problemi tecnici -

     - Capisco ... -

     L’ingegnere Enrico poteva forse capire l’insorgenza dei problemi tecnici, quello che non capiva era l’abbaglio che verosimilmente aveva preso riguardo alla persona di Alfredo ... probabilmente, aveva incontrato un sosia, a meno che non si volesse ammettere che l’ingegnere del piano di sopra si faceva burle di lui ... Ma questa eventualità era da escludere…i cimeli erano più inclini a stregare che a congegnare burle!  

     - Sa cosa penso, collega mio? Che Lei, ieri, abbia incontrato un sosia, non può credere come siano frequenti questi casi! -

     - Penso in effetti, che non via sia altra spiegazione…pertanto, non ho che da scusarmi -

     - Scusarsi? Ma non ci pensi neppure! Non è proprio il caso! Il mondo è pieno di questi contrattempi... piuttosto, quando tornerà a trovarci? Pensi di farlo presto, mia madre ha avuto un’ottima impressione di Lei ... le farà piacere rivederLa, ha ancora molte cose da raccontarLe... prima di ripartire per l’Africa!

     - Ritornerete in Africa? -

     - E’ probabile che la mia Ditta stipuli un contratto col nuovo Governo di Addis Abeba. In questo caso, torneremo in Africa…mia madre soffre molto standosene lontana -  

     - D’accordo, ritornerò uno di questi giorni -

     Nel salutare il figlio del mal d’Africa, si diede dello sciocco. Come non pensarci subito? Uno scambio di persona! La cosa più naturale del mondo!

 

 

*      *      *

 

     La trasferta dell’ingegner Enrico per conto dell’Azienda si protrasse molto più a lungo del previsto. Per quanto lavorasse in una fabbrica diversa da quella dell’uomo del presunto mistero, i problemi erano gli stessi. Un complesso apparato consegnato ad una Committente del Sud non se la sentiva proprio di funzionare.

     Fu costretto a richiedere in Ditta alcuni pezzi di ricambio, e questi ci misero un bel po' per arrivare. Passarono giorni e giorni nell’attesa dei ricambi, poi passarono giorni e giorni per il montaggio e le prove, e infine per la messa a punto e i collaudi; fatto sta che più di due settimane tennero Enrico lontano dalla sua residenza di via Kassala, n°40. 

     Quando finalmente poté rimettere piede a Genova, il primo pensiero che gli attraversò la mente fu di andare a farsi un bagno alla piscina del  Lido d’Albaro. Il momento della distensione!

     Giustappunto era giorno di domenica! Nell’aria festiva si libravano desideri in attesa, senza contorni definiti…come quelli un po’ così, con l’aria un po’ così quando si torna a Genova… Decisioni da prendere non ce ne sono “Ciò che capita capita”…Questo è il relax…    

      Avanzava verso la grande piscina, con un sorrisetto sulle labbra, con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova, e non s’as-pettano eventi forti, quando s’arrestò di botto. Il sorrisetto gli si congelò all’angolo della bocca, i suoi occhi chiedevano conferme.  Sul bordo opposto della piscina, col suo corpo ramato offerto a sguardi inclini ad ammirare, s’ergeva ritta ed atletica, la figura di Alfredo! O forse il sosia? Tutti i dubbi ricomparvero nella mente di chi sognava il relax. Però, ora s’aveva qualche carta in più per dirimere la verità. Ora la verità si poteva appurare. Enrico lanciò la sfida.

     Con un pronto sorriso e agitando il braccio, gli fece cenno di avvicinarsi andandogli incontro. L’altro a sua volta si mosse dimostrando di averlo riconosciuto. Nel frattempo mise a punto il trucco per riconoscerne l’identità: sosia o l’Alfredo dei cimeli?

     Ma il sosia o l’Alfredo dei cimeli lo prevenne.

     - Sa, ingegnere, con quelle ragazze poi…cos’è successo? -

     - Ah, le ragazze!... Eh già ... le ha poi seguite? -

     S’accorse di essere stato colto in contropiede. Comunque,  una cosa era certa, il suo interlocutore era la stessa persona dell’altra volta.

     - Si sono infilate in una cabina ... pensavo si dovessero cambiare di costume…-

     - E invece ? -

     - Si stavano trattenendo dentro troppo a lungo, per un cambio di costume, così mi è venuta la voglia di sbirciare dentro la cabina attraverso una fessura. Non dica che son cose che non si fanno…-

     - In realtà son cose che non si fanno, ma danno una buona spiegazione al fatto che non l’ho più rivista quando sono riemerso dalla piscina...e...cosa avrebbe visto di bello? -

     - Beh, lo vuol proprio sapere?...Qualcosa che non avrebbe promesso successo ad una nostra eventuale avance…a meno che…     

- A meno che? -

- A meno che non fossero ragazze con una marcia in più… ragazze “bivalenti” -

     Si era aperta una conversazione allettante. Enrico avrebbe potuto sollecitare particolari più circostanziati da quella che si profilava come una sbirciata eccellente, ma la sua mente era altrove, presa dal problema che lo assillava. Dunque, chi era l’uomo ramato? Un sosia di Alfredo, e la cosa poteva essere plausibile, o Alfredo stesso che al Lido d’Albaro sbirciava e in via Kassala, n°40 rinnegava ogni fatto attinente al Lido?

     Il suo tormento era lì a portata di mano, o meglio a portata di una trappola infallibile. Non era il caso di procrastinare  la domanda decisiva.

     “Ora gli chiederò dove abita. Se risponde:« Ma come, non lo sa? Abito sopra di Lei in Via Kassala, 40» allora sarà sicuro segno che egli è l’Alfredo vero; in ogni altro caso sarà un sosia. 

     - La storia delle ragazze è interessante. Interessante è anche l’accertamento delle loro qualità. Se Lei per caso ne avesse preso nota, potremmo invitarle a casa…a proposito Lei dove abita? -

     - In via Kassala, n° 40, e Lei? -

     Avete capito, cari Lettori, che le cose si complicano?

     Nessuna esitazione, risposta pronta e chiara ... allora è il vero Alfredo! Abita in via Kassala, n°40! Ma perché non dire “ ma ingegnere, scusi, non sa dove abito? ... Non ci incontriamo forse quasi tutti i giorni sul portone di Via Kassala, n°40?

     Il mistero non solo permane, ma permane aggravato!..Quei ninnoli appesi alle pareti di una stanza semibuia, hanno forse a che fare con questo mistero? Se hanno a che fare col mistero, lo fanno in un modo molto irriverente verso Enrico. Si prendono gioco di lui! Ora lui vede con sgomento quegli scudi con i puntali nel centro appesi alle pareti, diventare maschere ridenti con un naso a forma di puntale! Sentiva l’alito delle loro risate lambirgli il volto come aria di savana e brividi di terrore serpeggiargli in corpo. Possibile che avessero un tale potere? Tutto era assurdo e ridicolo a un tempo. Ma non c’è nulla di più terrificante che l’ignoto ... l’ignoto incombeva sopra di lui, e gli mandava in tilt le regole della logica! ... e anche quelle delle  curiosità bivalenti.

     Sentì un impellente bisogno di appartarsi, di andare a meditare in un luogo circoscritto, libero da ancestrali influssi; uno spiraglio da cui fare emergere una verità ci doveva pur essere, a meno che il maleficio non avesse preso un sopravvento enorme sulla normalità della vita! Questa prospettiva lo paralizzò, sentiva di non poter affrontare più a fondo la questione con l’interlocutore misterioso, temeva che si aprissero dinanzi alla sua mente orizzonti ancora più oscuri ... farfugliò una scusa per accomiatarsi ...

     - Beh, ora che so il Suo indirizzo, verrò a trovarLa ... mi finirà di raccontare la storia delle ragazze con auspicata bivalenza -

     Ricapitolare i fatti non era mica facile ... Lo sbirciatore abitava in via Kassala, n° 40, quindi era Alfredo, ma il suo comportamento non era stato del tutto coerente… “Questa impressione  potrebbe essere dovuta a un mio travisamento dei fatti, forse sono sotto influsso maligno…”

     Cercava una scappatoia di fronte alle cose modificate dagli influssi. Però, questa conclusione se da un lato era negativa, dall’altro gli sembrò superabile nella misura in cui gli influssi svaniscono. Riassaporò una certa fiducia di venire a capo del caso... la sua suggestionabilità aizzata dalle armi abissine e dalla malia della Signora che vestiva di proprio la Principessa Abukil, poteva essere invocata a spiegazione di quanto stava accadendo nel suo animo, non avvezzo a cimentarsi con le cose invisibili non rigorosamente posate a terra o su pianali appositi, come gruppi elettrogeni e motori diesel! 

     D’altra parte un sosia esisteva, a dare retta al vero Alfredo ...  o il vero Alfredo voleva “far credere” che esistesse? E se così era, per quale motivo? Per beffarsi di lui? A casa sosteneva che il Lido d’Albaro non figurava tra le sue mete vacanziere, ma al Lido d’Albaro non aveva esitazione a dichiarare che la sua abitazione giustappunto trovavasi in Via Kassala, n° 40!

     Ce n’era abbastanza per costituire un rompicapo, e l’in-gegnere Enrico ci si sarebbe anche divertito col rompicapo, se non ci fossero stati di mezzo quei reperti africani, che dalle loro conformazioni esotiche emanavano diavolerie a tutto spiano! E anche se non ci fosse stata di mezzo quella specie di madrina d’una principessa etiope, che con la sua calda mano trasmetteva il soffio della savana, e forse lo spirito di qualche stregone! 

     E così, l’ingegnere Enrico pensava, pensava, pensava ... A pensare qualche idea salta fuori! ... Se non proprio un’idea, almeno una valutazione dei fatti accettabile ... magari dopo una pausa! Si sa che le pause predispongono alla serenità di giudizio,  E’ di questo che c’è bisogno. Pergiove! ... E poi, quell’Alfredo, non è mica antipatico...Quale Alfredo? Nessuno dei due è antipatico!

     Si sa come si rasserena il cielo dopo una tempesta! L’Enrico fece di meglio, scoppiò in una risata risolutrice! Aveva trovato il bandolo? Un’idea che non meritava tale accoglienza, tanto era ovvia!

     “Al diavolo i fronzoli, i ninnoli, le cianfrusaglie del Corno d’Africa! Come ho potuto cascarci?! Ora so cosa fare, tornerò al piano di sopra a trovare l’amica del Negus, come avevo promesso a qualcuno, e quando Alfredo mi aprirà la porta, con quattro pacche sulle spalle gli dirò bene che non ci sono cascato ... Cercava di impressionarmi con la sua trovata del sosia, Eh? ... Si vedeva lontano un miglio che voleva prendersi burle di me, approfittando del mio “terrore” per i cimeli abissini! ... Beh, un simpaticone, che dicevo?!”

 

 

*      *      *

 

 

     Il giorno sul mare moriva in un alone di fuoco. La brezza serotina non riusciva a risalire il declivio fino a Via Kassala. La calura della giornata ancora ristagnava sull’androne dello stabile col numero quaranta. Ma Enrico, dopo la doccia ristoratrice, con la quale aveva concluso il suo orario di lavoro, si sentiva leggero e fresco, e ben disposto ad affrontare l’immaginifica conversazione della Signora del piano di sopra.

     L’afa dell’androne non ebbe il potere di distoglierlo dal ben predisposto presente dalle sensazioni esotiche prossime venture. Posò il piede con convinta decisione sul gradino della rampa di scale che conduceva al fantomatico “piano di sopra”.    

      Con pochi balzi superò la rampa e ora si trovava dinanzi al-l’uscio dell’appartamento misterioso. I cimeli africani questa volta non avrebbero avuto alcun potere su di lui. Ne era certo! Bussò con discrezione. I passi che subito udì attraverso la porta, gli fecero intendere che non vi sarebbe stata attesa. Infatti, la porta si aprì, e la figura dell’ Alfredo vi si stagliò accompagnata ad un sorriso più che convenevole.

     - Oh, che gradita sorpresa! Grazie per avere accettato il mio invito ... mia moglie sarà felicissima di fare la Sua conoscenza! Sa, mi sono sposato giusto pochi giorni fa! -

     Così dicendo introdusse l’ospite in sala. Un ultimo pensiero scaramantico “Occhio alle pareti, sarò più forte di loro!” Aveva appena varcato la soglia della sala, ove un’inconsueta luminosità sovrastava ricordi di penombre, quando meccanica-mente s’arrestò attonito!

     Forse sognava, un torpore rigido discese su di lui, come accade nei dormiveglia quando ci si vuole svegliare del tutto e non ci si riesce, mentre l’occhio non riusciva a distaccarsi dalle pareti della sala, lisce e risplendenti d’una luce più chiara d’un deserto africano. Ma l’Africa non vi era impressa con nessun cimelio appeso..  

      Gli scudi e le lance abissine dove erano andati a finire? Quegli scudi che incutevano paura col loro puntale al centro, e le lance e le zagaglie testimoni quasi viventi di chiassose cacce e battaglie, che su quelle pareti sembravano porre un fiero suggello al loro passato di gloria, dov’erano scomparse?  Le pareti non se serbavano traccia. Sparite! O forse mai vi erano state appese, e il destarsi da un sogno ne dava conferma? E le statuette di ebano, coi loro volti ieratici dai quali emanava una volontà ammaliatrice, pure esse erano state un sogno? Le stole copte, un sogno? L’incensiere, un sogno? Con tre catenelle staccate e una agganciata all’anello del bordo che poi s’infilava nell'asola del coperchio coi fori, fatti per lasciar passare il fumo dell’incenso, un sogno?  Tutti i cimeli erano spariti dalle pareti, cimeli reali o cimeli sognati che fossero stati!  Forse l’incensiere d’argento oscillava nelle mani di qualche stregone diffondendo l’aroma dell’incenso a beneficio di qualche magico rito!

     O la magia si stava compiendo in quel preciso momento? Enrico, nella sua incredulità, ripercorse le pareti centimetro per centimetro alla ricerca di una traccia che urlasse che non era stato un sogno, ma il suo sguardo riuscì solo a cogliere l’immagine d’una marina ligure dipinta su di un quadro di grandi proporzioni, tangibile fattualità!

     - I cimeli africani sono scomparsi! -

      Prima che “l’Alfredo”, che è d’uopo virgolettare, potesse abbozzare una risposta, che avremmo previsto stupita, una giovane Signora dalla bellezza straordinaria fece ingresso nella sala protendendo la mano all’ospite con protocollare cordialità..  

     - Benvenuto, Ingegnere! Mio marito mi ha raccontato di Lei…Mi è sembrato nominasse dei cimeli? Di quali cimeli si tratta? -

     - I cimeli abissini ... che erano appesi alle pareti ... -

     La Signora gettò uno sguardo alle pareti e poi al marito, e quindi di nuovo all’ospite.

- C’erano dei cimeli qui? Erano forse Suoi? -

     - Oh No, No!!!…dell’Imperatore, erano del Negus ecco, della sua Guardia imperiale. Si trattava di lance, zagaglie, scudi con la punta conica…sa, la punta conica…quando diventano maschere ridenti la punta conica sembra il loro naso…ihiii!!! -   

     - Una risata isterica? Si sente bene ingegnere? 

     La Signora dalla bellezza straordinaria lanciò uno sguardo al marito e poi alle pareti.

     - Ma certo che sto bene…Ah, ecco! Era la Principessa Abù…Abù…non mi viene il nome…che ricambiava con le armi della Guardia imperiale il dono dei vestiti…non si ricorda, ingegnere…lo diceva Sua madre…Ah, ecco, ora mi sovviene, si chiamava Abukil…Sì, Sì! La Principessa Abukil -

     - Mia madre è morta dieci anni fa! -

   - Morta? Ma, ma…non era seduta su quella poltrona di velluto verde accanto alla finestra…soltanto, soltanto un mese e mezzo fa?…-

     Sui volti dei due novelli sposi era disceso uno stupore sgomento. Avevano dinanzi un visitatore dalle strane visioni, che parlava in modo sconnesso di fatti assolutamente ignoti che sarebbero accaduti in quella sala. Come comportarsi di fronte a un visionario?

     Ma nello stesso momento il visitatore sentiva  tremare il pavimento sotto i suoi piedi, o forse erano le sue gambe che tremavano. Se i due “compari” non avessero preso la saggia decisione  di invitarlo a sedersi, forse sarebbe crollato! I cimeli esercitavano un potere anche da assenti!

     - Ma s’accomodi ingegnere, intanto. Ne parleremo meglio seduti di queste sue impressioni e ne cercheremo  il motivo...Con calma qualcosa di razionale salterà fuori -

     L’ingegnere prese posto su di una poltroncina del salotto in fondo alla sala, molto prossima al punto in cui sosteneva che era collocata la poltrona di velluto verde. Sulla quale troneggiava nella penombra una Signora anziana d’una bellezza antica, la cui mano emanava un morbido calore.

     Non poteva averlo sognato, ma ora questi occupanti della ex sala della nostalgia lo trattavano come un sognatore o un visionario. Quale incantesimo aveva sostituito la penombra con la luminosità, la Signora dalla bellezza antica con la Signora dalla bellezza attuale, un figlio con un marito, anche se accomunati da medesime sembianze? Sì, con calma la razionalità doveva alla fine trionfare. La Signora con la bellezza attuale aveva enunciato una verità inoppugnabile.

     - Intanto Le faccio preparare un caffè, ingegnere, se lo gradisce ... -

     - Grazie, lo gradisco -

     La bellissima fece tintinnare un campanellino d’argento ch’era posato sul tavolinetto del salotto. Apparve una cameriera dalla pelle ambrata.

     - Miriam, vuoi prepararci il caffè, per favore? -

     L’ingegnere notò la gentilezza con la quale la Signora trattava la sua cameriera mora, e notò di questa i bei lineamenti etiopi. L’Abissinia ricompariva sulle ali dell’incante-simo che occorreva distruggere.

     - Avete una cameriera etiope? Che strane coincidenze! -     - Certo, ingegnere, che Lei è fissato con questo genere di cose…Miriam l’abbiamo assunta all’Ufficio di collocamento –

     La Signora incominciava bene il suo excursus logico.

     - Allora, vi siete appena sposati! -

     Enrico intavolò un discorso nuovo, forse poteva dare un seguito alla logica.

     - Non sono ancora trascorsi dieci giorni dacché ci siamo sposati -

     - E quindi avete preso possesso di questo appartamento, che i precedenti inquilini avevano lasciato libero -

     - E’ proprio così, Lei come lo sa? -

     - Voglio dare un contributo alla logica. In questo apparta-mento abitava un sosia di suo marito, con la sua anziana madre!-

     - Ah, ora capisco! ... loro avevano i cimeli africani appesi alle pareti! -

     - E già! ... Mi fa piacere che abbiamo trovato la verità razionale ... in effetti non vi sono altre spiegazioni ... -

      - Infatti, non ce ne possono essere ... -

     Mentre l’enigma si stava risolvendo nel più banale dei modi, Miriam fece ritorno in sala col vassoio dei caffè.

     - Una o due zollette di zucchero? -     

     L’ingegnere era distratto ad osservare il volto etiope della cameriera. Dopo che un tanto assillante mistero aveva trovato la giusta soluzione, soffermarsi sul volto della ragazza etiope prelevata all’Ufficio di collocamento era riposante. 

     Poteva osservarlo senza pregiudizi, e soprattutto senza timori di sortilegi e ventate d’aria di savana. Gli Uffici di collocamento sono tremendamente asettici! In effetti, il nostro Enrico stava respirando aria fresca e sana filtrata dalla ferrea logica della ragione. D’altra parte l’antica Signora l’aveva detto a proposito dell’Africa  “presto ritorneremo laggiù, e tutti questi cimeli ci seguiranno e si ricongiungeranno alla collezione rimasta in Abissinia!”

     - Una o due zollette di zucchero? - ripeté la Signora.

     - Una, scusi la distrazione! -         

     La Signora stava per lasciare cadere la zolletta che tratteneva con le mollette d’argento nella tazzina dell’ospite, quando costui arretrò di scatto con l’orrore dipinto in faccia!

     Col dito puntato verso la zuccheriera, dalla quale la bellissima aveva tratto la zolletta, non riusciva ad articolare parola per la forte emozione... La zuccheriera altro non era che l’incensiere d’argento cesellato a disegni abissini!

     Accidenti! ... E quei buoni individui avevano fino a quel momento sostenuto di non avere nulla a che fare con i cimeli africani! Se lo ricordava bene Enrico l’incensiere d’argento, insieme agli altri arredi di rito copto pendenti alle pareti! Ora più che mai i suoi pensieri erano lucidi e vividi! Perdio! ... Quella era la casa dei misteri, e tale rimaneva!

     Si sentiva di nuovo in alto mare, aveva appena afferrato una zattera logica, ma ora le onde lo risucchiavano verso l’abisso!

     - Ingegnere, che le succede? ... Vuole lo zucchero, o preferisce il caffè amaro? -

     - Amaro, grazie! -

     Bevve, e gli sembrò di trangugiare un sorso d’Africa nera. Con la mente incollata a quell’incensiere misteriosamente riapparso a sancire che i cimeli abissini non erano un sogno, incrociò lo sguardo della Signora. Sì, ella era stupenda, una rara bellezza Perdio! Una donna, per la quale era facilissimo perdere la testa, e nel perderla dimenticare il mondo con le sue regole!

     Anche lui, Enrico,  stava perdendo le regole che imbrigliano i pensieri e li dirottano impachettati al loro giusto posto... Questi pensieri sentono l’impulso di scorrazzare liberamente ... Eh, Sì! ... e di superare i confini segnati dal cartello “Uscita di Senno”. Oltre quel confine si può credere a tutto. Anche che la bella Signora sia la “reincarnazione” dell’amica del Negus!  Una reincarnazione del tutto speciale…

     Di nuovo cercò di riafferrare la zattera del senno.

     - Sono rimasto interdetto... Signora, perché quella zuccheriera assomiglia maledettamente all’incensiere abissino che era in questa sala prima che ... - 

     Non gli lasciò terminare la frase, ché scoppiò in una sonora risata.

     - Ma sa, ingegnere, che Lei è proprio fissato con questa storia dei reperti abissini? Comincio a credere che i Signori che abitavano qui La abbiano molto suggestionata! ... Su, cerchi di tornare alla realtà!... La realtà è che l’oggetto che Lei chiama “incensiere”, con una catenella agganciata che gli abbiamo tolto, l’abbiamo trovato qui in questa sala, quando abbiamo preso possesso dell’appartamento.

     - Ah, certo, potrebbe essere stato proprio così... l’avete trovato qui…-

     - Forse, nel trasloco, i precedenti inquilini se l’erano dimenticato…i pittori ce l’hanno fatto notare… Comunque, che trattasi di un incensiere abissino io lo imparo adesso perché lo dice Lei-

     Dannata Signora! Ne sapeva (o ne inventava?) una più del diavolo ... trovava sempre una spiegazione a tutto! ...Resta un punto: “Perché adibire un incensiere a zuccheriera? ... Sembra quasi un sacrilegio! ... O un estro, forse ... un’idea di qualche rivista d’arredamento…

     - Ma come Le è venuta l’idea, Signora, di farci una zuccheriera da questo incensiere? -

     - Sa, sposandoci abbiamo dovuto consultare molte riviste d’arredamento e in una di queste abbiamo letto dell’uso a cui possono convertirsi oggetti vecchi o attuali nati per altri scopi…tra questi, la rivista parlava di coppe vinte in gare podistiche…non faceva cenno a incensieri. Miriam poi sosteneva che al suo paese ne aveva visto uno in mano a uno sciamano che lo usava per lanciare ossicini di gufo - 

     Sembrava tutto chiaro, per quanto gli ossicini di gufo non fossero i più indicati a tranquillizzare su eventi prossimi venturi in assenza di sciamano con compiacenti interpretazioni!

     - Lei, Signora, ha chiarito in maniera magistrale tutti i misteri, solo che…-

     - Solo che? -

     - Attingere zucchero da un incensiere mi sembra sacrilego-

     - Ah Sì! … Guardi, che io non sapevo che fosse un incensiere. Nemmeno Miriam…lei frequenta poco la Messa -

     - Oggetti del genere vengono spesso usati nelle cerimonie funebri... il sacerdote copto gira tutt’intorno alla bara e manda nuvole d’incenso verso la salma del caro estinto ... un po’ come da noi! -

     - Se c’è il caro estinto! -

     Finalmente aveva parlato Alfredo, concludendo l’argomento con una frase enigmatica. La Signora in quell’istante, accavallò le gambe assumendo una posizione distesa sulla poltrona. Il suo sguardo sembrava varcare i confini delle pareti della sala ridipinta per spaziare lontano, forse posarsi su nuvolette d’incenso lambenti una bara!

 

*      *      *

 

     La padrona di casa di Enrico era una donna premurosa e il suo inquilino, al quale aveva affittato la camera che usava riservare a studenti e professionisti in cerca d’una sistemazione stabile, lo trattava proprio bene, fino al punto di fargli trovare ogni mattina le scarpe al di fuori della porta lucidate a dovere. Però aveva un vizio, che Enrico non poteva sopportare... E dire, che non era altro che un eccesso di precisione! Gli lasciava sempre della carta di giornale appallottolata all’interno delle scarpe contro la loro punta, dopo avere espletato l’eccellente servizio della lucidatura. “Le scarpe si conservano meglio” usava giustificare la sua solerzia.

     Però, quella mattina – era passato qualche mese dai fatti raccontati – l’ingegnere aveva fretta, e introdusse il piede incautamente entro la scarpa tirata a spazzola e panno, inciampando con l’alluce sull’ostacolo nascosto. Un’imprecazione gli uscì di bocca con aria nervosa. Nell’estrarre la pallottola di carta prendendola con due dita, ne provocò lo srotolamento, e nel contempo l’apparizione del titolo stampato su di un vecchio giornale in cronaca locale.

     Stava per buttare la carta, quando lo sguardo impattò quel titolo, così concepito: “Anziana Signora genovese e il suo accompagnatore scompaiono durante un viaggio in Africa”. C’era anche un sottotitolo che precisava: “L’uomo più giovane di lei era presumibilmente il suo amante; disgrazia o diabolica macchinazione?”

     Che si pensa con un titolo simile? Nulla, non si pensa nulla. Si vede solo uno scudo abissino trasformarsi in una mostruosa maschera beffarda con un naso appuntito a forma di puntale conico, molto adatto a simulare uno sberleffo!

     Poi si rinviene e si formula il dilemma: “Correre al più vicino Commissariato di Polizia, o darsi subito da fare per cambiare alloggio?”

  

F I N E

 

(Da “Storie di rose, d’ingegneri e qualche Commissario” di Butto Alberosa)

 

 

 

 

 

 

 

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